l’Unità – La politica dietro al burqa, quote rosa a Kabul

di Osvaldo Sabato

Selay Ghaffar presidente dell’ong afghana Hawca per i diritti delle donne: «Ci serve aiuto» OSVALDO SABATO

FIRENZE – A vederla è una ragazza bella e giovane, vestita all’occidentale e senza velo in testa, due occhioni scuri e i capelli nero corvino. Sul suo viso non ci sono tracce di paura. Sembra una come tante che si possono incontrare per strada in una città italiana. Ma a casa sua non è così. Lì quando va in giro, mette il velo e quando deve raggiungere i villaggi delle province lontane da Kabul indossa addirittura il burqa per motivi di sicurezza. E Selay Ghaffar, la presidente dell’organismo non governativo Humanitarian Assistance for the Women and Children of Afghanistan (Hawca), l’organizzazione per i diritti delle donne nata nel 1999 nel paese asiatico, ospite ieri a Palazzo Vecchio della commissione pace presieduta dalla consigliera Pd Susanna Agostini. Il progetto più recente dell’ong afghana è stato l’apertura a Herat, Kabul e Jalalabat di centri per le donne vittime di violenze che ricevono assistenza medica, legale, psicologica da parte di professioniste afgane. Secondo alcuni dati riportati dal Cospe, il 90% delle donne in Afghanistan è analfabeta e una su tre subisce violenza. La dura realtà che le donne afghane sono costrette a vivere in quel paese è drammatica. La storia è nota. In Afghanistan, le famiglie festeggiano la nascita di un maschio, ma non quella di una femmina. Le donne sono considerate naqis-e-aql (stupide dalla nascita) e il termine «donna» viene usato dagli uomini come un insulto. Le donne nell’ambito della famiglia estesa sono una risorsa economica: come la terra, la casa o il bestiame e appartengono a un uomo. Vivono in purdah, cioè recluse nella casa. Con l’ascesa al potere del presidente Hamid Karzai queste condizioni non sono certo cambiate. «Fino ad oggi – spiega Ghaffar – la cooperazione internazionale, anche quando interviene, non viene messa in condizioni di arrivare alle radici del bisogno e quindi non incide nel cambiamento necessario dei rapporti tra politica e comunità afghana». Negli ultimi anni il legame fra Firenze e le donne che si battono per i diritti umani è diventato sempre più forte, a due deputate Malalai Joya e Shurkria Barakzai, nel 2007 è stato consegnato il «Giglio d’oro», ma l’impegno continua.

LA REGOLA DEL 30%
L’organizzazione guidata da Selay Ghaffar dal 2008 collabora con il Cospe e ora le si affiancherà anche il centro Robert F. Kennedy di Firenze. «Stiamo lavorando molto per aumentare la partecipazione politica delle donne, a partire dal 2001, quando sono cominciate le grandi consultazioni popolari che includevano principalmente i capi tradizionali e personaggi influenti», dice Ghaffar facendo il punto della situazione. «A livello politico siamo riuscite ad ottenere delle nuove regole, ma che per ora sono rimaste solo sulla carta, come la quota del 30% nel parlamento. Le donne sono 69 e di queste poche rappresentano la popolazione, perché la scena politica è dominata da fazioni controllate dai “signori della guerra”, che hanno creato dei partiti di area di potere. Alcune di queste donne sono direttamente nominate da loro». Un paio di partiti democratici ci sono in Afghanistan – ma non vengono ascoltati e spesso vengono esclusi dai processi decisionali» spiega la presidente di Hawca, in attesa di vedere la prossima settimana il sottosegretario agli Esteri, Staffan De Mistura. Al governo italiano chiederà più attenzione per i diritti delle donne afghane.

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