di Anna Meldolesi
La Camera approva la Convenzione di Istanbul sulla lotta alla violenza
Dall’Aula semideserta di lunedì ai 545 sì di ieri. La Camera ha risposto alle critiche della presidente Boldrini e ha detto sì all’unanimità alla Convenzione del Consiglio d’Europa, approvata ad Istanbul nel maggio del 2011, contro la violenza sulle donne, la violenza domestica e il femminicidio. Nel giorno dei funerali dell’ultima vittima, la 15enne Fabiana. Un colpo di reni, lo Stato finalmente si prende la responsabilità di voltare pagina.
AUNG SAN SUU KYI ROMPE IL SILENZIO E DIFENDE I MUSULMANI (FINALMENTE)
Aveva taciuto a lungo. E su Aung San Suu Kyi si proiettava l’ombra di un sospetto: di aver sacrificato l’autorità morale nel nome della Realpolitik e del compromesso con gli (ex) militari che ancora governano la Birmania. Invece finalmente la Signora del Nobel s’è espressa in difesa dei musulmani che vivono nel suo Paese, oggetto di un’intolleranza sfociata in pogrom costati la vita a un centinaio di persone in un anno (con i 130-140 mila sfollati). Ebbene, Suu Kyi ha criticato una legge che vieta alle famiglie del gruppo dei rohingya (musulmani) di fare più di due figli: «Se vero, è illegale. Una discriminazione. Viola i diritti umani» La norma si applica a due aree nelle quali si concentrano i rohingya, una popolazione senza cittadinanza che per l’Onu è invece tra le etnie più perseguitate del mondo; non riguarda i musulmani non rohingya di altre zone della Birmania, che comunque subiscono la loro dose di violenze e linciaggi in un Paese provato dai nuovi equilibri socio-economici. La vicenda illumina prospettive diverse. In primo luogo, mostra come la Signora si esponga su un tema di principio che in patria resta impopolare: i connazionali, in stragrande maggioranza buddhisti, fanno coincidere fede e identità e nutrono sentimenti ostili verso i musulmani, ritenuti «non birmani». Secondo, dimostra che Suu Kyi sta diventando davvero un animale politico: ha affrontato un tema per lei strategicamente insidioso prendendolo da un aspetto pratico e apparentemente laterale. Infine, ricorda come in Asia le politiche demografiche possono essere snodo di prese di coscienza e potenziali mutamenti: in Birmania i due figli per i rohingya, mentre in Cina, la regola del figlio unico (che peraltro non vale per le minoranze…) spacca la politica e l’accademia tra chi la vuole abolire e chi no. I figli come chiave del futuro, ecco: pure quando sono vietati.
Corriere della Sera – Femminicidio un passo in avanti – Aung San Suu Kyi
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