Conferenza stampa di presentazione del Worldwide Network HOW – Intervento della presidente Isabella Rauti

Conferenza stampa di presentazione del Worldwide Network HOW
Sala Stampa Estera – Via Dell’Umiltà 83/c, Roma

Trascrizione non corretta dall’autore

Grazie Livia, grazie a tutti. Io sento il bisogno di fare alcuni ringraziamenti, alcune citazioni e non sono soltanto di rito ma ci aiutano a capire meglio la rete internazionale che noi vogliamo costituire. E vedete noi siamo partiti da un filmato, una parte di un filmato molto più lungo, realizzato da un’attrice regista libanese che lavora nelle carceri femminili, che aveva trasformato quelle carceri in un teatro e quelle detenute in attrici. Noi l’abbiamo incontrata e conosciuta e con lei già lavoriamo in rete. E il ricordo oggi in questa conferenza come è stato già annunciato alla stampa vogliamo dedicare questo avvio di oggi a Samia Yusuf che non tutti conoscono, che è stata velocista alle Olimpiadi di Pechino del 2008 e che è deceduta nell’aprile scorso, nel tentativo di raggiungere dalla Libia il nostro Paese è una di quelle donne molte delle quali invisibili e senza nome che su un barcone cercando la speranza invece ha trovato la morte. E aggiungo solo un altro elemento: HOW sostiene già la petizione è in corso il conferimento del Premio Nobel per la Pace a Malala, la bambina pakistana, la quindicenne ormai per fortuna icona internazionale della difesa del diritto allo studio come diritto fondamentale. Questa bambina nel tentativo di raggiungere la scuola è stata ferita gravemente dagli integralisti talebani ed è ora ricoverata in Inghilterra.
Tre storie lontane diverse tre delle innumerevoli che potremmo raccontare. Questo per dire che esiste la possibilità di creare una rete femminile informale a livello internazionale.
E poi ancora voglio solo ringraziamenti, ma proprio nel tentativo di dare consistenza a questa rete, io voglio anche ringraziare le persone che hanno già mandato dei segni di apprezzamento alla nostra iniziativa e che quindi in prospettiva vorranno sostenerla. Alcuni di loro sono presenti e quindi poi lascio alla nostra coordinatrice il compito di presentarle, io cito quelle che sono presenti con noi in spirito attraverso i loro indirizzi di saluto o messaggi e o anche una semplice email. Come la judoca olimpica che ha raccontato nello scenario delle Olimpiadi di essere stata vittima di abusi per anni da parte del suo allenatore e poi di essersene finalmente liberata, Kayla Harrison. Poi voglio anche citare e ringraziare la Ong libanese Kafa, presieduta da Zoya.
Voglio anche salutare in questo momento Samia Nkrumah che se la sta battendo come candidata presidente in Ghana – si voterà il 7 dicembre –. Noi l’abbiamo incontrata e per quello che conta la sosteniamo e la salutiamo da qui. E ancora cito Sima Samar e Fawzia Koofi dell’Afghanistan con ruoli istituzionali e politici importanti.
In particolare voglio salutare insieme a voi Elina Chauvet l’artista messicana più famosa per questi suoi allestimenti delle scarpe rosse: in tutto il mondo centinaia di scarpe rosse per ricordare il sangue versato dalle donne. Elina sostiene la campagna e il nostro impegno e il nostro impegno è portare a Roma l’allestimento di Elina a Roma, quindi nel cuore d’Italia per mantenere alta l’attenzione. Questa è un’adesione alla quale ho tenuto moltissimo. E ancora Louise Guido che rappresenta la Foundation for Social Change che si occupa proprio di progetti per donne e bambine, soprattutto progetti di inserimento e  reinserimento lavorativo e ancora Donatella Flick Princess Missikoff e altre. Vedete, questa non è una citazione – come dire – alla rinfusa, ma è per sottolineare quanto in realtà la rete sia già in atto, perché è possibile mettere le donne in rete. Ognuna di noi per le sue esperienze sul campo ha avuto modo di incrociare e conoscere altre donne impegnate su questo fronte. Quello che io ho sempre sognato come credo un meccanismo utile è quello di mettere in rete le esperienza, mettere in rete le donne, mettere in rete le buone prassi e soprattutto far sì che queste buone prassi diventino materia di scambio. Io voglio anche ringraziare e ci tengo molto coloro che sono tra i fondatori della Onlus Hands Off Women che promuove appunto il network HOW. Ringrazio e li saluto tutti coloro che sono qui come fondatori hanno contribuito in modo determinante alla realizzazione non solo di questo incontro ma soprattutto delle attività che intendiamo lanciare e sostenere. Li cito velocemente e mi scuseranno: Maria Rosaria De Luca, fondatrice anche della Libreria dell’Anima; Daria Grimani, avvocato e creatrice di una linea di borse solidali che poi mi permetterò di illustrare, Luisa Gechele segretario generale e Stefania Giuseppetti e Elena De Blasi che sono responsabili di tutta la parte relativa al sito, alla comunicazione e determinanti nella realizzazione concreta della giornata di oggi, Emanuela Tripi, avvocato e vice capo di gabinetto del Ministero delle Pari opportunità; Federica Mondani, avvocato; Cecilia Rosica, consulente amministrativo; Camilla Morabito, presidente attivissima di Equa e Isabel Ximena Mercado, non la vedo ma c’è, nostra amica imprenditrice e fantastica partner di questa nostra avventura. Come partner e saluto e li ringrazio sono Al Femminile, ma Simona Zanette riuscirà a illustrare bene nella seconda tornata qual è la materia del nostro partenariato. E poi la società DNSEE al quale dobbiamo già moltissimo come società e agenzia di comunicazione digitale che sono coloro che hanno cercato pazientemente di insegnare a quelle come me che non troppo capiscono di certa materia che cosa significa un network e che cos’è una piattaforma digitale, li ringrazierò sempre. E ancora Massimiliano Monnanni nella doppia veste di socio fondatore di HOW ma anche come poi illustrerà lui stesso colui al quale dobbiamo la prima iniziativa concreta che è il bando di sei borse di studio per sei giovani studenti. Avrò sicuramente dimenticato qualcuno e me ne scuso. E poi saluto anche le amiche in sala. La presidente dell’Associazione delle donne tibetane in Italia; la nostra amica Julianna dell’IFAD e tante altre ancora mi scuso di non poterle citare tutte.
Questo significa credo anche in modo tangibile ed evidente che esiste già l’embrione di questa rete che noi vogliamo rafforzare sempre di più. Noi partiamo da questo presupposto. Intanto il fenomeno delle violenze sulle donne declinato necessariamente al plurale perché si tratta di violenze fisiche, psicologiche, economiche, lavorative, sessuali, è un fenomeno diffuso e sommerso. Diffuso e sommerso a tutte le latitudini geografiche; a tutte le latitudini, diciamo così, culturali e religiose; a tutte le latitudini economiche, non ne sono esenti i paesi cosiddetti ricchi e non ne sono esenti i cosiddetti paesi in via di sviluppo. E allora il punto è questo, le violenze come fenomeno diffuso e sommerso sono una questione globale e mondiale, nessun paese appunto è esente e allora è necessaria una assunzione di responsabilità, una missione di fondo; e allora se è vero che il fenomeno è globale l’approccio e il modo di affrontarlo deve essere altrettanto globale e ognuno deve fare la sua parte da questo punto di vista. Noi pensiamo che lo strumento di mettere in rete le persone, le associazioni, puntare ad avere con le istituzioni sicuramente una interlocuzione, ma immaginare di più questa rete come qualcosa di dinamico e di militante. L’idea di mettere insieme anche persone che hanno nei loro paesi una posizione influente, quindi capace di determinare un cambiamento, accanto a tutte quelle donne vittime, che sono generalmente donne invisibili, ci sembra un modo per far sentire le vittime meno sole e anche come creare una sorta di vetrina mondiale dove si possa arrivare a denunciare un caso individuale che diventa in pochi minuti, in poco tempo, attraverso l’utilizzo dei nuovi mezzi di comunicazione diventa di conoscenza, di consapevolezza globale. Questo è già successo. Penso per esempio alla bambina afghana che io e altre persone come me siamo andate a trovare l’anno scorso all’ospedale a Kabul, che è diventato un caso internazionale – è stata segregata per alcuni mesi e torturata dal marito e dalla suocera; è sta poi salvata in primis da Amnesty International e poi dalle autorità governative locali. E ha commosso il mondo la sua storia. Senza l’utilizzo dei mezzi di comunicazione la sua storia sarebbe rimasta, come molte altre, sconosciuta: Invece quella storia ha fatto il giro del mondo. Ha costretto le comunità internazionali ad impegnarsi e c’è stato un esito e una soluzione, la bambina è stata intanto in ospedale, curata, assistita lo è ancora presso uno shelter in Afghanistan. Soprattutto i suoi aguzzini sono stati individuati e denunciati. E allora io penso che si debba tutti quanti puntare intanto all’applicazione degli strumenti legislativi lì dove ci sono e auspicare l’implementazione di leggi su questa materia lì dove purtroppo incredibilmente ancora non ci sono. Ma questo direi che è una condizione necessaria non sufficiente per arginare e contrastare il fenomeno. E che quello che è necessario io lo vedo come una responsabilità morale ripeto collettiva e globale è quello di contribuire a una rivoluzione culturale a un cambiamento di mentalità e di approccio significa investire sull’educazione di genere dalla scuola alla famiglia in tutte le agenzie educative ma significa anche guardare questo fenomeno dritto negli occhi, perché se le condizioni delle donne ovunque sono migliorate in termini di istruzione, in termini di accesso al lavoro e in termini di rappresentanza politica e nelle istituzioni, un dato però è altrettanto certo che a fronte di questo miglioramento generale la violenza sulle donne rimane il dato, rimane il fenomeno ed è in aumento. Solo due riferimenti per quanto non ci siano statistiche ufficiali ma solo stime naturalmente autorevoli in questo anno che non è ancora terminato sono oltre cento le vittime di violenza, significa che ogni tre giorni una donna è vittima di violenza estrema – sto parlando solo dei casi estremi – e che il 50% delle donne della Thailandia o del Perù o di altri paesi sono vittime di violenza. Ci sarebbero molti altri dati da citare ma io credo che questa platea è una platea informata e tecnica. Sicuramente è un fenomeno che nessuno può pensare di trascurare o di ignorare. Vedete allora noi, non voglio rubare altro tempo a chi interverrà dopo di me, perché questo è un giorno di lancio di questo nostro network, l’inizio di una collaborazione. Noi a fine giornata firmeremo simbolicamente ma non solo la nostra carta di intenti che poi sarà aperta da domani alla firma online a tutti coloro che condividono i principi della nostra associazione. E allora se le violenze sono un flagello mondiale, una malattia sociale, adeguata deve essere la risposta e la mobilitazione. Vedete, la Onlus Hands Off Women punta molto sul suo acronimo che è già un logo, questo HOW che impegna tutti ad un come affrontare, come risolvere. Il come è il senso della concretezza e della praticità. Noi abbiamo delle ambizioni – come posso dire – mirate. Noi puntiamo ad offrire come rete dei servizi piccoli concreti, efficaci che arrivino a destinazione. Questo lo facciamo sulla base delle esperienze di ognuna di noi, che sono esperienze che sono nate sul campo e lo facciamo anche grazie a una serie di interlocuzioni di livello nazionale che ci consentiranno appunto di mettere in rete il nostro – come dire – la nostra consapevolezza e soprattutto la nostra operatività. Vedete, noi da subito vogliamo essere incisivi. Dopo, nella seconda tornata, verrà illustrato il meccanismo delle sei borse di studio che da domani noi metteremo a bando, destinate a giovani studenti/studentesse che con due assi poi verranno illustrati. Ecco, vedete, se noi riuscissimo a replicare questo meccanismo delle borse di studio, attraverso anche il supporto di aziende che intendono sostenere questo aspetto, noi saremo riusciti ad incrociare – come dire – un bisogno e una risposta, una domanda e un’offerta e avremo fatto come semplice anche trait d’union avremo comunque reso un servizio. E allora noi puntiamo sulle borse di studio esattamente come puntiamo sul meccanismo dell’adozione a distanza di donne che sono in condizioni di difficoltà ed è un meccanismo che personalmente abbiamo già affrontato e sostenuto e nel quale crediamo, che è un meccanismo che ha la sua efficacia. E poi ancora l’idea attraverso un partenariato che stiamo già sottoscrivendo di corsi di formazione e avviamento al lavoro. Piccole cose si dirà, ma piccole cose che messe insieme posso fare e possono diventare un sistema e sicuramente possono fare la differenza. Piccole grandi cose come questa linea creata da Daria Grimani che è la linea di borse solidali Khrialda, la cui vendita, il ricavato della vendita viene devoluto in parte all’Associazione Libreria dell’Anima e in parte sarà devoluto a sostenere le iniziative di HOW. Vedete questi sono materiali, taluni sono anche materiali riciclati. Questa è la borsa del dissenso, perché ogni borsa di Khrialda ha un suo nome, ha una sua storia. Questa è dedicata proprio a quel dissenso che tutte le donne non devono mai perdere di fronte alle storie di violenza subita da altre donne. Questa idea del dissenso, che può essere anche un dissenso che trova ospitalità a quella che sarà la nostra piattaforma telematica. Il dissenso è comunque una reazione sana che non consente alle coscienze di addormentarsi su qualcosa di inaccettabile soltanto perché diffuso viene – come posso dire – subito. E ancora, alcune, abbiamo anche molte idee, molti contatti da prendere. Io voglio, altro avrei da dire, ma credo che sia assolutamente più importante di ascoltare me, ascoltare le nostre ospiti straniere e poi le altre relatrici intervenute italiane. Io voglio soltanto chiudere con questo. E’ possibile costruire e attivare una rete informale di persone che facciano un giusto pressing nei loro paesi su questi temi. E’ possibile anche essere quel contenitore che intreccia i bisogni e le risposte. E’ possibile anche ed è utile creare una piattaforma internazionale per associazioni e persone che mettano in rete le conoscenze legislative, le esperienze, le buone prassi, i casi, la possibilità di aiutare qualcuno e diano, amplifichino una voce di coloro che non hanno voce. Vedete, questa idea del network è l’idea semplice ma sofisticata di uno strumento che intanto utilizza strumenti esistenti che sono i social dando a loro un maggior contenuto di impegno sociale e solidale. Social non è soltanto la messa in rete della comunicazione, social è anche un impegno sociale appunto e solidale. E allora la piattaforma, per come la vedo io è la casa di tutti coloro che vorranno abitarla e utilizzarla e contribuire anche a svilupparne le attività, ma soprattutto il network, per come lo vedo io, per come lo immagino io e per come lo sogno io è quello di amplificare la forza delle donne, un amplificatore della forza delle donne che urli al mondo quelle che sono le grandi vicende e faccia sentire, così, lo ripeto, meno sole le donne. Naturalmente il network non è soltanto una vetrina, ma è una rete che vuole essere operativa con la forza delle donne e con le capacità di tutti coloro, uomini e donne, che vorranno sostenere e collaborare. Grazie.