il manifesto – «Una firma non basta, i candidati prendano anche un impegno»

di Luisa Betti

25 novembre/ GIORNATA CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE

II 25 novembre non è solo il giorno delle primarie in cui il centro sinistra sceglie il suo candidato premier: è anche, da 13 anni, la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, indetta dalle Nazioni Unite. Una coincidenza, oppure una svista, che non passa inosservata soprattutto perché un 25 novembre cosl “vivace” non si vedeva da tempo (e forse in Italia non s’era mai visto) con eventi e iniziative contro la violenza di genere promosse da varie associazioni in tutto il paese e con un’attenzione sui media che ha coinvolto anche quella politica che fino a poco tempo fa sembrava indifferente a questa mattanza e che invece alla vigilia delle elezioni si è svegliata. Il ministro degli esteri Giulio Terzi dice che «l’impegno per contrastare tutte le forme di violenza che continuano a colpire milioni di donne nel mondo è una priorità assoluta dell’azione internazionale dell’Italia», e per la ministra della giustizia Paola Severino «inasprire le pene può servire come segnale di importanza del valore che si tutela». Nello stesso tempo, dopo la firma da parte dell’Italia della Convenzione europea contro la violenza domestica di Istanbul – un importante documento che però deve essere ratificato per diventare effettivo – la senatrice Anna Serafini (Pd) ha presentato un disegno di legge per le «Norme perla promozione della soggettività femminile e per il contrasto al femminicidio», mentre le deputate Giulia Bongiomo (Fli) e Mara Carfagna (Pdl) hanno chiesto un inasprimento delle pene con «Modifiche agli articoli 576 e 577 del codice penale, in materia di circostanze aggravanti del reato di omicidio, e introduzione dell’articolo 612-ter, concernente l’induzione al matrimonio mediante coercizione», un inasprimento che comprende l’ergastolo, per capirci. Insomma, con le dovute differenze, ognuno va per conto suo sul femminicidio, senza pensare che oggi l’unica cosa da fare, prima che le morti aumentino, è la verifica del Piano nazionale contro la violenza sulle donne – varato dalla ex ministra delle Pari opportunità Mara Carfagna e in scadenza nel 2013 – con l’introduzione di politiche attive e concrete, come propone la Convenzione “No More!” redatta dalle associazioni nazionali di donne che sulla violenza lavorano da anni, e che ha avuto migliaia di adesioni anche di politici, intellettuali e giornalisti, compresi due dei candidati alle primarie di oggi: Nichi Vendola e Laura Puppato. «In una giornata in cui si decide la candidatura a premier del centrosinistra – dice Vimoria Tola dell’Udi nazionale e promotrice della Convenzione No more! – vogliamo che i politici e le personalità con un molo istituzionale si prendano un impegno reale e coerente. Lo chiediamo sia a Vendola e a Puppato, che hanno firmato la Convenzione No More!, sia a tutti quelli che si candidano a premier di un paese in cui viene uccisa una donna ogni due giorni». Un’attenzione quindi che non sia strumentale, perché «chi combatte il femminicidio – prosegue Tola – deve sapere che tutto è basato sul diritto alla libertà e all’autodeterminazione delle donne, e non si può essere d’accordo con la riapertura delle case chiuse, o essere contro l’aborto o pensare che le donne non abbiamo diritto alla rappresentanza e al lavoro: per combattere la violenza, si deve promuovere la soggettività delle donne in tutti gli ambiti. E per questo anche politici come Nicola Zingaretti e Di Pietro che hanno firmato No More!, devono dimostrare nei fatti che vogliono cambiare la cultura che è alla base della violenza contro le donne». Pochi giorni fa la deputata Rosa Villecco Calipari ha presentato un’interpellanza al governo sul femminicidio che non ha avuto risposta. «Strumentalizzare il femminicidio è vergognoso – dice Barbara Spinelli, avvocata della Piattaforma Cedaw – perché il problema oggi è quello di monitorare come in Italia vengono attuate le leggi poste a protezione delle donne, e il senso di impunità che circonda questi reati non si cancella alzando le pene, ma proteggendo la persona offesa durante il processo con misure cautelari adeguate. Di certo, pene più aspre non aiutano tutte quelle donne che trovano il coraggio di denunciare, chiedono protezione, e invece vengono comunque uccise. Senza contare poi che, riguardo all’inasprimento delle pene proposte da Bongiomo e Carfagna, e anche dalla ministra Severino, l’aggravante sul femminicidio esiste già perché con la ratifica della Convenzione di Lanzarote l’articolo 576 del codice penale è stato modificato aggiungendo l’ergastolo per chi commette omicidio nel reato di maltrattamento, quindi è una proposta che proprio non serve».

Manifesto – «Una firma non basta, i candidati prendano anche un impegno»
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