Corriere della Sera – Pakistan, strage di studentesse

di Cecilia Zecchinelli

Terrore Dopo l’esplosione le milizie filotalebane hanno attaccato l’ospedale dei feriti
Bomba sul bus dell’università femminile: 25 vittime

Violenza maschilista spinta all’estremo, odio settario per la minoranza sciita, guerre tribali, follia. C’è probabilmente tutto questo alla base della strage di studentesse avvenuta ieri a Quetta, capitale del Baluchistan ovvero della regione più vasta ma spopolata, misera e pericolosa del Pakistan. Una città e una terra dove negli ultimi mesi hanno avuto luogo gli attentati più gravi di un Paese già in perenne emergenza, una regione dove i morti negli attacchi sono stati oltre 200. Ieri a questa triste contabilità si sono aggiunti almeno 25 nomi. Tra loro quelli di 14 studentesse e professoresse che finite le lezioni nel pomeriggio tornavano a casa su un bus della Sardar Bahadar Khan University, l’unica università solo per donne della regione, che sorge in un quartiere sciita ed è frequentato da molte appartenenti a questo ramo dell’Islam. Nessun kamikaze, ma una bomba che ha incendiato il bus: tra le ragazze rimaste in vita, una ventina sono state ricoverate per ustioni anche gravi nel vicino ospedale Bolan. E qui, dopo circa un’ora, è scoppiato un secondo ordigno, proprio davanti al pronto soccorso dove stavano arrivando le ragazze ferite e i corpi delle vittime, affollato da parenti e amici. Non solo: un commando di uomini armati, cinque o otto secondo le versioni, ha dato l’assalto all’ospedale sparando all’impazzata, uccidendo una decina di persone tra cui un politico e 4 guardie, terrorizzando malati, medici, infermieri tenuti in ostaggio per cinque ore. Dopo una massiccia azione appoggiata da elicotteri e corpi speciali, alla fine le forze dell’ordine hanno liberato l’ospedale, eliminando o arrestando i terroristi: due di loro si sarebbero fatti esplodere vedendosi circondati. Nessuno ha finora rivendicato la doppia azione anche se i sospetti di tutti vanno agli estremisti sunniti, che con i talebani del vicino Afghanistan e dello stesso Pakistan condividono l’odio per l’emancipazione femminile e quello per gli «eretici sciiti». I casi di violenze estreme sulle donne anche in questa regione sono innumerevoli. La più parte ignorati dal mondo: per una Malala finita sulle prime pagine dei media — scampata a un tentato omicidio e sfigurata, curata in Europa — mille sono scomparse o soffrono ancora in Pakistan, senza un nome. Sui media locali il doppio attacco di ieri è stato avvicinato a quello di Ziarat, 130 km da Quetta, dove un commando ha distrutto la casa in cui visse Muhammad Ali Jinnah, padre fondatore del Pakistan. Un’azione simbolica, costata la vita a un guardiano, come la bandiera issata sui resti dell’edificio in legno: il vessilo dell’Esercito di liberazione del Baluchistan. Ma un coinvolgimento dei separatisti nell’attacco alle universitarie è escluso. L’accostamento tra le tre azioni pare dovuto solo ai tempi vicini in cui sono avvenute. E al volere ricordare che il Baluchistan è un campo di molte battaglie, tutte mortali e lontane da una conclusione.

II caso
Sospetti
Cadono su Lashkar-e-Jangvi, gruppo nato negli Anni 80, legato ai talebani, responsabile degli ultimi attacchi di ieri come di diversi altri attentati in Pakistan (compreso l’omicidio di Benazir Bhutto nei 2007).
Donne
Estremisti islamici radicali sono gli aguzzini di Malala Yousafzai, 15 anni (foto), ferita nel 2012 perché promuoveva il diritto alla scuola.

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