La Stampa – “La tecnologia non basta partiamo dall’educazione”

Il viceministro Guerra: a-marzo il Piano anti-violenza

di Flavia Amabile

ROMA – Il bottone del panico? Prima o poi potrebbe arrivare in Italia, perché no? Cecilia Guerra, viceministra del Lavoro con delega alle Pari Opportunità non esclude nulla.
«Sono aperta di fronte a nuovi strumenti in uso in altri Paesi. Sono convinta che in questo campo si debba continuare a studiare e anche se non è stato previsto nulla finora non è detto che non accadrà in seguito». Tutto può essere utile è la sua posizione.
«L’importante è che gli strumenti vengano usati con discrezione senza creare allarme sociale ma per dare maggiore sicurezza a persone che in un certo momento non hanno altre forme di tutela».
In realtà, quello che sa bene la viceministra è che la tecnologia da sola non serve a molto. «Stiamo lavorando al Piano nazionale di contrasto alla violenza di genere. Speravo che fosse pronto per fine mese, invece slitterà di qualche settimana perché i soggetti coinvolti sono tanti, ma permetterà di avere tutti gli strumenti necessari per contrastare la violenza contro le donne».
Molte le misure e le novità contenute nel piano in preparazione da parte dei sette gruppi di studio che raccolgono rappresentanti dei ministeri, degli enti locali e delle associazioni.
Sono già attivi a livello sperimentale i test di valutazione del rischio di recidiva in alcune zone e presso le forze dell’ordine ma quando il Piano sarà presentato verranno adottati a livello ufficiale sull’intero territorio nazionale.
«È uno strumento che permette di capire se le persone che hanno subito atti di violenza saranno sottoposti ad un’escalation oppure se si tratta di un atto che non verrà seguito da altri», racconta Cecilia Guerra. Si tratta di creare un protocollo per la valutazione del rischio valido in tutta Italia e per ogni soggetto che verrà a contatto con chi ha subito violenze, si basa su alcuni parametri della violenza fisica subita ma anche da alcune caratteristiche dell’aggressore, come la dipendenza da droghe o alcol.
Oppure si valuta il tipo di strumento usato per la violenza. «Diverso è, dal punto di vista del rischio che si ripeta, se la violenza è provocata da uno schiaffo o da un asciugamano bagnato arrotolato e usato come arma», spiega la viceministra. Perché è più probabile che «nel secondo caso si sia’ in presenza di una tecnica e di una premeditazione», e quindi che il rischio e l’allarme sia più alto.
Nel Piano è previsto anche un capitolo dedicato all’istruzione. «Per la formazione dei docenti, e anche degli alunni, dei medici, delle forze dell’ordine e di tutti i soggetti che entrano in contatto con le vittime». Sarà costruito un sistema informatico mettendo in rete le banche dati di chi si occupa di violenze. Un capitolo sarà dedicato al reinserimento sociale delle vittime e al recupero dei loro aggressori.
C’è soprattutto un finanziamento del Piano e dei centri antiviolenza.
«Sono stati previsti 10 milioni l’anno dal 2013 al 2016 e un finanziamento in più specifico per i centri anti-violenza di 17 milioni per far nascere nuovi centri nelle “regioni più in difficoltà e recuperare quelli esistenti. Per questo stiamo procedendo a un monitoraggio nazionale dei centri in modo da capire quali finanziare. Dal 2015, i 10 milioni di finanziamento diventano una cifra permanente che verrà distribuita ogni anno. Non mi sembra che sia da sottovalutare il nostro impegno, no?», conclude Cecilia Guerra.

La Stampa – La tecnologia non basta partiamo dall’educazione
[File pdf - 1,1 Mb]